“No alcol” is the new black? 40 giorni alcol free, regole di sopravvivenza.

Per compensare la mia vita dissoluta tra banconi dei bar e tavoli dei ristoranti, faccio una discreta quantità di attività fisica. Frugando bene tra i miei sogni nel cassetto, accanto a progetti un po’ più degni di stima, troviamo gli addominali. Ovvero il desiderio, un bel giorno, di potermene andare in giro con un pezzetto di pancia di fuori, come le adolescenti. Sarà la crisi di mezza età in arrivo? Nonostante i miei sforzi, la pancia piatta non sembra essere alle porte.

Wonderleaf con vista. Alcol free!

Mi è stato fatto notare che potrebbe, dico POTREBBE, essere colpa dell’alcol.

E così, per inseguire il mio progetto e dedicarmi ad un po’ di sana autoconservazione, ho deciso di trascorrere quaranta giorni senza alcol.

Sono stati 39, effettivamente, considerando un’incidentale giornata in visita alla distilleria Hepple. In ogni caso, un sacco di tempo. Non mi sono spuntati gli addominali, nel caso qualcuno se lo stesse chiedendo. Tuttavia, ho esplorato il magico mondo dell’alcol free e tratto alcune conclusioni.

Sì, perché nei miei 39 giorni no alcol sono comunque stata per la maggior parte del tempo al bar. E di insulti ne ho presi parecchi, perché la richiesta “vorrei un analcolico che sembri il più possibile un alcolico” non viene mai accolta con entusiasmo.

Barrier, Bergamo. Alcol free

Quello che ho scoperto, cari amici bartender, é che fare analcolici non è proprio così scontato. E penso anche di aver messo qualcuno in grande difficoltà.

Ma c’è una ragione, ovviamente. E cioè che nessuno, me compresa, ha mai veramente riflettuto sul tema no alcol. Ho sempre bevuto cose gradevoli, sia chiaro. Ma spesso erano miscugli un po’ improvvisati, non particolarmente degni di nota.

Degni di nota invece sono stati gli analcolici dietro ai quali c’era stata una riflessione, uno studio. Cioè quello che avviene per tutti i drink alcolici che proponiamo ai nostri clienti ogni giorno.

Analcolico da D.one, Torino

E qui la grande domanda: perché nessuno si è mai dedicato all’inesplorato mondo degli analcolici?

Sicuramente c’è la questione della richiesta: di solito chi beve analcolici viene etichettato come cliente poco desiderabile. Parliamo di astemi (orrore!), donne incinte, bambini, anziani e in generale persone che non amano stare al bar e che sembrano esserci capitate quasi per sbaglio.

Perché impegnarsi tanto, quando sarebbero felici anche con una coca zero?

Ma è anche vero che non esistendo un’offerta interessante sul mondo alcol free, è difficile che si generi una richiesta. In più, esistono altre categorie da non sottovalutare. Una di queste, siamo proprio noi.

Virgin Martini al St Regis, Venezia

Oggi assistiamo a un forte movimento in una direzione più salutista, o quantomeno più sostenibile, della bar industry. Lo testimoniano gruppi come Healthy Hospo, sempre più attivo, che promuove uno stile di vita più sano e offre supporto a professionisti in difficoltà.

Non possiamo nascondere che il nostro settore presenti delle criticità legate a ritmi di vita irregolari e frenetici, libero accesso ad alcol e droghe, stress e cattiva alimentazione.

Che il low alcol sia la tendenza degli ultimi anni è ormai cosa dichiarata. E la comparsa sul mercato di un numero sempre maggiore di distillati analcolici ci lancia un segnale da non sottovalutare.

Non sto certo sostenendo un mondo no alcol, e nemmeno low alcol. Ma credo che dovrebbe esistere la possibilità di poter stare al bar e ordinare un analcolico senza che questo generi l’ilarità generale. E senza che ci venga rifilato un Florida. 

Time Social Bar, Venezia. Analcolico con radicchio.

Consideriamo poi che i distillati analcolici oggi costano esattamente come gli alcolici, ed aggiungendo una pari lavorazione, il prezzo dovrebbe essere identico a quello degli altri drink. Ma anche la preparazione e la presentazione dovrebbero essere altrettanto accattivanti. In questo modo sarebbe giustificato l’aumento di prezzo rispetto agli standard attuali.

Citiamo tra i brand più diffusi in Italia Seedlip (Diageo), Wonderleaf (Fine Spirits) e Memento. Senza dimenticare l’inesauribile quantità di soft drink alternativi e i milioni di sciroppi che produciamo home made ogni giorno. Insomma, amici: non è poi così difficile far uscire un analcolico un po’ grazioso!

Non so se nei prossimi anni assisteremo ad un cambiamento in questa direzione, se gli analcolici diventeranno una moda così come lo sono stati i gin. Forse a breve potremmo chiedere un Virgin Manhattan e un Daiquiri analcolico, da far rivoltare il buon Hemingway nella tomba. Un virgin Martini, in effetti, l’ho già bevuto. Ma in un momento storico nel quale ogni ingrediente sembra essere già stato distillato, estratto, infuso e ridotto, perché non vedere quella dell’alcol free come una nuova, inesplorata sfida?

Pensiamoci!

Ed ecco i vincitori dell’operazione “un analcolico per me”, in ordine sparso:

  • Sottovoce Speakeasy di Bergamo con un long drink a base di soda alla ciliegia e riduzione di Campari. Eccezionale
  • Lacerba, Milano, col suo falso Jungle Bird: cristalli di Campari, estratto di ananas, lime, passion fruit e melograno
  • Time Social Bar di Venezia con un mix imperdibile di estratto di radicchio e salsa di soia, lime, zenzero e tonica.

Ringrazio di cuore tutti gli altri amici bartender che mi hanno sopportata, anche in versione alcol free. E per quanto la mia preferenza vada sempre ai drink “alcol sì”, devo ammettere che non è stato poi così terribile!

Sottovoce speakeasy, Bergamo. Buonissimo!

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