Quante volte abbiamo sentito dire, più o meno per scherzo, “adesso mollo tutto e apro un bar sulla spiaggia”? Sembra il sogno nel cassetto di chiunque, una vita senza scarpe coi lacci.
Ma ammettendo che qualcuno effettivamente abbandoni scrivanie e grigiumi cittadini per dedicarsi alla mono stagione: quale spiaggia sceglierebbe?

Penso che ci siano diverse buone ragioni per votare Barbados.
Isoletta a forma di pera nel lato più esterno dei Caraibi, fa parte delle ex colonie inglesi. Si parla quindi inglese, anche se in una versione assolutamente poco comprensibile, si gioca a cricket e pare che il tè delle cinque sia molto gradito.
La prima ragione per aprire un bar proprio qui, ovviamente, è che siamo ai Caraibi: sole tutto l’anno con qualche temporale e trascurabili uragani. Mare azzurrino e spiagge bianchissime, palme da instagram, tartarughine che nuotano vicino a riva, immersioni, pesce fresco eccetera eccetera.

Le spiagge da cartolina si trovano nel lato sud e ovest dell’isola. Tra le più rinomate citiamo Dover Beach, Miami Beach e Rockley beach. A Est invece, nel lato oceanico, il mare è più mosso e si susseguono spiagge decisamente più selvagge, preda dei surfisti di passaggio e degli amanti della natura incontaminata. La più famosa è sicuramente Bathsheba, rocciosa e drammatica. Molto suggestiva.
Il centro dell’isola è ricoperto di canna da zucchero, la cui lavorazione è da sempre alla base dell’economia locale.
E qui arriviamo alla seconda buona ragione per aprire un bar a Barbados: il rum.

Il distillato di melassa dell’isola è conosciuto e apprezzato in tutto il mondo. La distilleria simbolo è sicuramente Foursquare. Dotata di due alambicchi, un pot still e una colonna, produce diverse espressioni che poi vengono unite a seconda dei brand. La gamma molto ampia prodotta in distilleria comprende etichette economiche distribuite localmente, accanto alle grandi espressioni dedicate all’export, che hanno contribuito al suo prestigio. Citiamo tra queste le selezioni Habitation Velier, Transcontinental Rum Line (Fine Spirits), e Doorlys, il più diffuso.
La distilleria, come un enorme laboratorio, distilla con i due diversi strumenti e invecchia in botti di varia provenienza, a seconda del profilo aromatico richiesto.

Le espressioni più ricercate e interessanti sono quelle ad alta gradazione con maggiore presenza di distillato proveniente da pot still. Sono rum intensi, rotondi e ricchi di carattere.
Richard Seale, oggi a capo dell’azienda di famiglia, è considerato uno dei principali esperti di rum al mondo e da anni combatte una battaglia contro l’aggiunta di zuccheri nel rum e per la veridicità degli anni di invecchiamento in etichetta.
Il brand più presente sull’isola è Mount Gay, venduto ad ogni angolo sotto forma di Rum Punch, nelle espressioni più basiche direttamente da temibili bottiglioni di plastica. La distilleria ovviamente vanta anche selezioni di pregio, dedicate per lo più al mercato estero. È visitabile su appuntamento, con visite guidate. Il visitor center è proprio di fronte alla meravigliosa spiaggia di Brandons beach, inspiegabilmente dimenticata dalle guide e completamente deserta.

Altra distilleria da non perdere è St Nicholas Abbey. Al centro di una piantagione di canna da zucchero, è una delle ville padronali più antiche dei caraibi. Datata inizio diciassettesimo secolo, è oggi un museo e una distilleria. Si produce rum in piccolissime quantità, distillando solo in alambicco di rame. Le bellissime bottiglie serigrafate con la facciata della villa sono tutte numerate e personalizzabili. Inutile dire che il costo della singola bottiglia è assolutamente esorbitante. Il giro turistico prevede anche un assaggino piuttosto scarso, che lascerà l’avventore molto deluso e desideroso di un’altra porzione. Di qualsiasi brand.

Stupisce come il fattore rum sia poco valorizzato sull’isola. Si punta quasi più al consumo di whisky, seguendo le richieste della clientela prevalentemente inglese e americana. Salvo qualche eccezione in bar d’hotel e nei pochi ristoranti di lusso, il livello di miscelazione è drammaticamente scarso, e anche le bottigliere sono cariche di prodotti a basso costo.
La clientela ricca e vacanziera si presterebbe molto volentieri ad un innalzamento di qualità. Io avrei molto apprezzato. Esiste qualche timido tiki bar, sempre legato ad una miscelazione piuttosto datata, comunque molto apprezzato dagli avventori.

Ultima segnalazione: i local, detti bajan. Bisogna ammettere che, soprattutto gli uomini, non passano certo inosservati. La natura qui è stata molto generosa, concedendo fisici statuari e lineamenti eleganti al 90% dei maschi locali. Le donne invece sono inspiegabilmente “tonde”, per la maggior parte. Sicuramente la dieta a base di pesce fritto e macaroni pie non aiuta, ma non si capisce perché questa sorte sia toccata solo al gentil sesso. I lineamenti sono tuttavia molto armonici e le pettinature incredibilmente complesse. Insomma, qui nessuno passa inosservato.
Barbados è il paese del no body shaming: donne iper abbondanti si aggirano strizzate in minuscoli abitini che lasciano ben poco all’immaginazione. Leader del movimento ed eroina locale, non a caso, la bellissima e temporaneamente plus size Rihanna, nata sull’isola.
Insomma: molliamo tutto ed apriamo un bar sulla spiaggia?