Giappone: piccola guida per il viaggiatore assetato

Il Giappone è un paese bellissimo e assurdo. In due settimane di viaggio almeno una volta al giorno ho pensato “questi sono fuori”, ma anche “li adoro”, e ancora “sono pazzi”. Parliamo di bar con le cameriere vestite da manga, coi gatti e i gufi (anche insieme), panini a forma di mostri, gelati a forma di orsetti, gabinetti con la tecnologia di uno smartphone, treni che arrivano precisi al minuto, zone fumatori che sembrano dei recinti perché in strada non si può fumare, ma nei locali sì.

Per non parlare poi dei giapponesi. Sono tra le persone più gentili ed educate del pianeta, ti salutano con una sequenza di inchini e non mancano mai di accompagnarti fuori da locali per un ultimo ringraziamento. Sono estremamente timidi, e parlare con loro è molto difficile. Il livello di inglese è anche parecchio scarso e, purtroppo, delle cento milioni di domande che avrei voluto porre ad ogni persona che incontravo, me ne sono rimaste tante, troppe, non formulate.

Kanazawa al tramonto

Quando viaggio i miei interlocutori prediletti per la mia scarica di domande socio/culturali sono, ovviamente, i bartender. Ma anche con loro avere una conversazione non è per nulla semplice: tutti sono estremamente cortesi, e anche dove la lingua è un ostacolo, faranno comunque di tutto per aiutarti. Tuttavia parliamo di un paese molto tradizionalista e piuttosto chiuso, che sicuramente non ama rivelare i propri segreti. Insomma fare “amicizia” al bancone è un’impresa decisamente ardua.

Detto ciò, il livello di miscelazione nei cocktail bar è piuttosto alto e il servizio impeccabile. Unico dramma: in molti locali si paga un charge per l’ingresso, una sorta di coperto, che varia da 5 ai 10 euro a persona. Questo per evitare che la gente saltelli da un bar all’altro, proprio come faccio io. E questo ha leggermente limitato i miei bartour. Ma solo leggermente.

Tokyo by night

In Giappone esistono due tipi di cocktail bar: i bar “moderni”, con una forte tendenza allo speakeasy style, e i bar tradizionali giapponesi. Questi ultimi sono sicuramente i più caratteristici, ma di certo non i più divertenti. E se già il livello di inglese medio è molto basso, soprattutto fuori da Tokyo ordinare diventa una vera impresa.

Io ne ho visitati diversi, e posso dire che hanno sempre molti tratti in comune. Innanzi tutto, la struttura dei bar è molto simile: un bancone lungo che occupa tutta la lunghezza della stanza. Sono sempre estremamente piccoli, con pochi posti a sedere. Niente menù (o se c’è, è solo in giapponese), e un timore reverenziale verso il capo barman. Di sicuro nei bar tradizionali la cura dei dettagli diventa una sorta di rituale, al quale si accede dopo una lunga gavetta.

Casa tradizionale, Miyajima.

I bar moderni invece sono come ce li aspettiamo: menù, prezzi più bassi rispetto ai bar tradizionali, una buona dose di creatività e un ambiente più rilassato. Sono bar che potrebbero trovarsi in qualsiasi città del mondo, a differenza dei tradizionali. Ma a conti fatti, li ho sicuramente preferiti.

Ma arrivando al dunque, dove bere in Giappone?

La prima risposta sulla bocca di tutti è l’High Five. Da anni in vetta a tutte le classifiche, Ueno San è sicuramente un personaggio che ogni bartender o aspirante tale ha sentito nominare.

Old fashioned chez High Five

Ed ecco, questa volta devo dire che io mi sono trovata molto male. Il locale è in un seminterrato, completamente marrone – Ahimè dopo due settimane di bartour devo dire che la maggior parte dei bar sono effettivamente marroni.  Niente menù, due pagine di house rules da leggere attentamente prima di entrare dove c’è scritto più o meno chiaramente “se fai il bravo noi saremo gentili con te, altrimenti il posto è mio e decido io, ti sbatto fuori”. Drink medi e ad un costo stratosferico, il panico che serpeggia tra i lavoranti. Forse ho solo beccato la serata sbagliata. O forse Tokyo è piena di bar, next.

E proprio next c’è un localino surreale, e stranamente non marrone: si tratta dell’Orchad bar. Una decina di posti a sedere, un bancone lungo e strabordante di oggettistica assurda, cesti di frutta, animaletti, lucine e così via. Niente menù, si sceglie un frutto dal cesto e fa lui. Con l’anguria è arrivato un twist col salty dog, con tanto di statuetta a forma di cane, ciotola. Il drink abbaiava pure. Stranamente divertente, drink un po’ pasticciati ma dopo i vicini nello scantinato per me è stato un rappacificarsi col mondo.

Orchad Bar, drink con cane

Consigliatissimo nel quartiere Shinjuku: Benfiddich. Sempre una stanza marrone senza menu, i drink sono eccezionali e il proprietario è un personaggione, con movenze da ballerino e tecniche al limite del surreale. Quest’anno nella classifica dei 50 best, direi il mio bar preferito del viaggio, imperdibile.

Doppietta di locali carini in stile moderno Bar Trench e Bar Tram. Qui c’è menù, anche molto interessante. Grande passione per l’assenzio, pochi posti a sedere ma una bella atmosfera vivace. Abbiamo bevuto bene.

Ottimi drink anche al Mixology Laboratory, un mix tra stile moderno (menù piuttosto creativo) e impostazione tradizionale. Varia oggettistica da casa di caccia inglese qua e là. Avevano anche della pasta e della farina italiana nell’angolo cottura, in bella mostra. Mah..

Mixology Laboratory

Avevo una lista di altri mille locali in cui non sono stata, specialmente tanti in stile tradizionale con gli storici bartender ancora attivi (che io ho accuratamente evitato, in realtà). Nella lista Star Bar Ginza, Mori Bar, Tender bar (chez Uyeda San).

Ma spostiamoci a Kyoto, incantevole e meravigliosa, che offre una nutrita selezione di localini tutti concentrati nella stessa zona, walking distance, intorno ad una sorta di naviglio. Insomma, era la mia città preferita già sulla carta. Anche qui ci si divide in bar tradizionali e bar moderni. I bar tradizionali però sono all’interno di abitazioni storiche, che li rendono a mio parere una tappa imperdibile.

Strade di Kyoto

Il più carino tra questi è sicuramente The Common One Bar, che si trova a Gion, il quartiere delle geishe, proprio all’interno di un’Okyia. Si accede da un sentierino che porta nel cuore dell’abitazione, con un giardinetto e l’accesso alla casa. Divisa in diversi spazi, con tanto di sale private, sfocia poi nella sala principale col bancone, molto elegante. Niente menu, poco inglese. Solito insomma.

Situazione simile è il bar K-ya. Il menu era in giapponese e le comunicazioni al limite del surreale. Qui abbiamo trovato una gentilissima ragazza russa dietro al bancone che parlava benissimo giapponese ma non inglese. Abbiamo preso un old-fashioned “della casa” che si è rivelato uno shakerato di arancia e whisky con ghiaccio trito. Tuttavia, bellissima selezione di bottiglie e sono abbastanza convinta che il bar in realtà fosse molto valido. Meglio parlare giapponese però.

Tra i bar moderni il nostro preferito è stato il Bee’s Knees, dove un gruppetto di campioni di flair ha messo su uno speakeasy molto accogliente con una bella drink list e atmosfera divertente. Qui ottimo livello di inglese, ottimi drink.

Consigliato anche Nikishita711, one girl show. Un mini localino zeppo di pot pourri e foglietti con dediche degli avventori appese ovunque. Drink pazzi ma buoni, tutto molto grazioso.

Nikishita711

Altro speakeasy style: L’Escamoteur. Non il mio preferito ma drink list molto ampia e locale ben architettato. Ho bevuto qui un bloody mary discreto.

Altre segnalazioni: Samoa Bar, locale storico con un’incredibile collezione di cavatappi appesi alle pareti e un vecchietto che fa highball, e basta direi. Bar Rocking Chair, menu sì, inglese no (ma proprio zero). Anche questo in una casa tradizionale ma di impostazione più moderna.

Samoa Bar

Insomma, a Kyoto si è bevuto qualcosina. Il viaggio poi è proseguito con una tappa a Takayama, dove c’è Yu, molto accogliente, con mobilio d’epoca e solo il proprietario a gestire il tutto, preso d’assalto dai turisti. Ho bevuto un drink con una marmellata di yuzu fatta da sua nonna. Buono.

A Kanazawa invece spadroneggia Furansu, un localino molto europeo gestito da tre fratelli nippo-francesi con i quali abbiamo fatto le più grandi conversazioni del viaggio. In stile tradizionale, invece, molto carino Kohaku, dove ho bevuto un drink con pesca grattugiata al momento e gin. Le pesche qui sono quasi sacre, hanno un costo esorbitante e vengono vendute con una specie di cappottino intorno. La pesca in questione mi è stata lavorata davanti come se fosse l’ingrediente più prezioso al mondo. E il drink era effettivamente un bomba.

Kohaku bar, Kanazawa

E qui finisce, ahimè, il mio bartour giapponese. Spero che abbiate la fortuna di visitare il Giappone, magari con i colori dell’autunno, e concludere le giornate in uno dei miei localini del cuore. Oppure vi auguro di scoprirne tanti altri, e farmelo sapere. Non si sa mai, un altro giro lo farei volentieri!

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